Conversazione 09/01/2010
9 gennaio 2010
ABRAMO ECCELLENTE IMMAGINE DI DIO
I patriarchi
Con i patriarchi entriamo nella storia nostra, usciamo dal tempo delle origini dell'umanità ma scopriamo la continuità tra principio e storia. L'elemento più forte della continuità di nuovo è la coppia-famiglia meticolosamente congiunta attraverso genealogie lunghissime al Principio.(47)
Le genealogie sono realizzazione dell'essere a immagine di Dio che si attua nel dono della vita causando le generazioni come espressione della benedizione divina. Proprio così inizia la storia di Abramo:
"(1) Il Signore disse ad Abram: "Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. (2) Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. (3)Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra". (48)
E' di nuovo al centro la benedizione, attività tipica divina e della sua immagine, con una ulteriore concretizzazione: Abram stesso diventerà "una benedizione", vale a dire immagine di Dio per eccellenza.
"Va verso di te"
"L'ordine di partenza è un'espressione rara: l'imperativo abituale "va'", ma seguito dal pronome, un po' come "vattene" (lekh-lekha). Questa espressione tradotta letteralmente può significare: "va' per te", o "va' verso di te"; … L'unica volta in cui questo imperativo viene utilizzato ancora con il pronome è nell'ordine di partenza per il sacrificio di Isacco (22,2).(49)
Dio invia Abram verso se stesso, verso la ricchezza della sua persona. Perciò deve andare a distanza dalla sua terra e dalla sua famiglia d'origine. Famiglia e patria rischiano sempre di sostituirsi al rapporto autentico con se stesso. Troppo profondi sono i legami famigliari e culturali, troppo connaturali alla mia percezione di me che l'appartenenza alla mia famiglia, alla mia cultura, al mio paese può diventare più importante che la mia appartenenza a me stesso, alla mia indole, alla mia fecondità personale, alla mia vocazione personale. La famiglia per poter essere luogo di origine e di crescita della persona è ricca di relazioni di immense energie generative di amore e di luce per poter collaborare con Dio a sua immagine "per fare l'uomo a sua immagine". Ma fuori dalla condizione originale, fuori dal paradiso queste energie invece di liberare, di illuminare possono diventare un mondo a sé, in cui i genitori si trasformano in creatori di relazioni virtuali generando dipendenza nei propri figli. Dal secolo scorso ne possiamo ammirare la profondità grazie alle scoperte della psicologia del profondo che in realtà è la psicologia delle relazioni famigliari e che abbraccia non solo patologie ma prima di tutto relazioni vivificanti di dimensioni straordinarie.
Abram per realizzare la sua vocazione deve andare a distanza da come si è percepito fino adesso nella sua famiglia e nella sua patria per poter realizzare insieme a sua moglie Sarai il loro essere immagine di Dio dando origine a una persona nuova. Ma tutta la storia di Abramo sembra come appesa a e attraversata da questa promessa-benedizione del figlio che non arriva mai. "L'attesa del figlio" potrebbe essere il sottotitolo di questo ciclo di racconto. Ma il non arrivo del figlio concentra l'attenzione su chi lo dovrebbe fare arrivare: Dio e la coppia Abram-Sarai. Paradossalmente la non realizzazione della promessa evidenzia i tre protagonisti del racconto: Dio, Abram e Sarai, vale a dire Dio e la sua immagine originale.
Il non arrivo del figlio inoltre mette avanti agli occhi del lettore la fedeltà di Dio alla sua promessa. Quanto più dura l'attesa tanto più persone possono trovare in questa lunga attesa lo spazio per le proprie attese di realizzazione di vita. Infine la lunga attesa accentua al massimo la preziosità della persona umana, del figlio, che solo in quanto figlio può essere persona. Si può attendere anche 100 anni. La generazione e il concepimento di una persona nuova non ha prezzo né tempo d'attesa. Apparentemente possono essere questi i significati di questo geniale raccontare. Ma anche se costituiscono questi temi il movimento di fondo del testo solo alla fine sene coglierà il significato profondo del "Lekh-lekha", del "Va verso di te", del dove Abramo trova veramente se stesso.
I metodi coniugali-famigliari della coppia Abram-Sarai
Dio promette la discendenza ad Abram. Tale promessa implica l'unione tra Abram e Sarai. Nell'ottica di Genesi 1 la promessa della discendenza significa l'attuazione del "facciamo l'uomo a nostra immagine". E' la grande collaborazione tra Dio e la coppia per dare vita a persone umane e formarle a immagine di Dio. Se questo grande compito dell'uomo e della donna poteva essere di facile attuazione in paradiso ora nella condizione della disobbedienza, dell'allontanamento da Dio diventa più difficile. Infatti, la prima cosa che fa Abram appena ha ricevuto la promessa che da lui uscirà un grande popolo è dissociarsi da Sarai:
"(10) Venne una carestia nel paese e Abram scese in Egitto per soggiornarvi, perché la carestia gravava sul paese. (11) Ma, quando fu sul punto di entrare in Egitto, disse alla moglie Sarai: "Vedi, io so che tu sei donna di aspetto avvenente. (12) Quando gli Egiziani ti vedranno, penseranno: Costei è sua moglie, e mi uccideranno, mentre lasceranno te in vita. (13) Dì dunque che tu sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua e io viva per riguardo a te". (14) Appunto quando Abram arrivò in Egitto, gli Egiziani videro che la donna era molto avvenente. (15) La osservarono gli ufficiali del faraone e ne fecero le lodi al faraone; così la donna fu presa e condotta nella casa del faraone."(50)
Abram per paura di perdere la sua vita rinnega la sua moglie che implica una forte sfiducia nel disegno di Dio che gli è stato appena annunciato. Colpisce il ritornello che accompagna tutto il racconto di Abramo:
"(1) Dopo tali fatti, questa parola del Signore fu rivolta ad Abram in visione: "Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande". (2) Rispose Abram: "Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli e l'erede della mia casa è Eliezer di Damasco". (3) Soggiunse Abram: "Ecco a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede". (4) Ed ecco gli fu rivolta questa parola dal Signore: "Non costui sarà il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede". (5) Poi lo condusse fuori e gli disse: "Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza".(51)
Dio sempre di nuovo rinnova la sua promessa, la specifica, l'allarga. Neanche la frustrazione e l'impazienza di Sarai riguardo alla sua realizzazione lo fa distogliere dal suo proposito:
"(1) Sarai, moglie di Abram, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar, (2) Sarai disse ad Abram: "Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli". Abram ascoltò la voce di Sarai. (3) Così, al termine di dieci anni da quando Abram abitava nel paese di Canaan, Sarai, moglie di Abram, prese Agar l'egiziana, sua schiava e la diede in moglie ad Abram, suo marito."(52)
Sarai fa capire ad Abram che non crede nella promessa di Dio. Nella sua memoria esiste solo: "Ecco il Signore mi ha impedito di avere prole." Lei non si manifesta immagine di Dio nei confronti del suo marito. Sarebbe chiamata a dare voce a quanto Dio ha promesso alla loro coppia, a ripetere ad Abram quanto il Signore ha detto a lui.
Guardando insieme le stelle sarebbe stato il suo compito a chiamare alla loro memoria nuziale che la loro discendenza sarebbe stata "tale"! Nella consapevolezza di se stessa la promessa di Dio non ha messo radice perciò si pensa senza la prospettiva "stellare" e tende a sostituirsi alla provvidenza divina "donando" a suo marito la sua schiava per offrirgli un discendente. Sullo sfondo della promessa grandiosa divina questo tentativo appare meschino e maldestro, all'interno delle leggi tribali dei popoli nomadi è un modo lecito per procurarsi un discendente.
La reazione di Sarai svela in quale contesto familiare e sociale la rivelazione di Dio avviene. Non ha niente di perfetto. E' terribilmente simile alle famiglie odierne segnate dalla consapevolezza che bisogna arrangiarsi da soli (p. es. fecondazione artificiale). Le promesse di Dio poco incidono sulla percezione della vita futura della famiglia. Pur avendo fatto tanto progresso la rivelazione di Dio, arrivando Dio stesso a incarnarsi in una famiglia umana e dichiarando alla famiglia fedeltà totale nella croce e nella risurrezione, molti coniugi-genitori seguono ancora i metodi di Abram e Sarai appena illustrati. Si preferisce dissociarsi l'uno dall'altro quando il proprio tornaconto lo richiede e si prescinde da Dio sia nella generazione sia nell'educazione dei figli. La collaborazione al divino "Facciamo l'uomo a nostra immagine" viene intesa in senso puramente intrafamigliare: i figli siano a nostra immagine, cioè dei genitori o ancora più spesso di uno dei due genitori, non inteso solo in rapporto alla scelta professionale ma soprattutto in relazione alla concezione di se stesso. Si tratta del metodo di Sarai assecondato da Abram (!) di sostituirsi a Dio offrendo ai figli una visione del mondo e di se stessi puramente orizzontali. In questo processo però i genitori si servono comunque delle loro energie a immagine di Dio che danno il potere immenso di plasmare il figlio "a immagine di", energie grandiose di cui la psicologia ci ha svelato l'esistenza e che richiedono essere integrate urgentemente nella consapevolezza famigliare comune.
La realizzazione della promessa e l'Abramo "uscito verso di sé"
Quando Abramo ha 99 anni Dio concretizza la sua promessa. Di fronte al suo solenne annuncio due gli atteggiamenti dei due coniugi: Abram prostrato davanti a Dio viene trasformato in Abramo, Sarai di nascosto se la ride delle promesse di Dio come ha fatto durante tutta la sua vita, ne viene rimproverato. Non si pente e nega l'azione appena compiuta anche di fronte all'Ognisciente. Sarai non pare proprio una donna eccezionale. Ciò nonostante rimane destinataria della promessa di Dio creando nella sua figura e nei suoi difetti lo spazio per tante mogli e mamme che si ridono della Provvidenza divina:
"(1) Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: "Io sono Dio onnipotente: cammina davanti a me e sii integro. (2) Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò numeroso molto, molto". (3) Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: (4) "Eccomi: la mia alleanza è con te e sarai padre di una moltitudine di popoli. (5) Non ti chiamerai più Abram ma ti chiamerai Abraham perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò. (6) E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te nasceranno dei re. (7) Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. (8) Darò a te e alla tua discendenza dopo di te il paese dove sei straniero, tutto il paese di Canaan in possesso perenne; sarò il vostro Dio". (9) Poi gli dissero: "Dov'è Sara, tua moglie?". Rispose: "E` là nella tenda". (10) Il Signore riprese: "Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio". Intanto Sara stava ad ascoltare all'ingresso della tenda ed era dietro di lui. (11) Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. (12) Allora Sara rise dentro di sé e disse: "Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!". (13) Ma il Signore disse ad Abramo: "Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? (14) C'è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio". (15) Allora Sara negò: "Non ho riso!", perché aveva paura; ma quegli disse: "Sì, hai proprio riso".(53)
Neanche la concretezza della promessa, la vicinanza della sua realizzazione distolgono Abramo dal suo vizio di dissociarsi da sua moglie. Questa volta la sua bellezza non sembra più giocare un grande ruolo:
"(1) Abramo levò le tende di là, dirigendosi nel Negheb, e si stabilì tra Kades e Sur; poi soggiornò come straniero a Gerar. (2) Siccome Abramo aveva detto della moglie Sara: "E` mia sorella", Abimèlech, re di Gerar, mandò a prendere Sara. (3) Ma Dio venne da Abimèlech di notte, in sogno, e gli disse: "Ecco stai per morire a causa della donna che tu hai presa; essa appartiene a suo marito". (4) Abimèlech, che non si era ancora accostato a lei, disse: "Mio Signore, vuoi far morire anche la gente innocente? (5) Non mi ha forse detto: E` mia sorella? E anche lei ha detto: E` mio fratello. Con retta coscienza e mani innocenti ho fatto questo". (6)Gli rispose Dio nel sogno: "Anch'io so che con retta coscienza hai fatto questo e ti ho anche impedito di peccare contro di me: perciò non ho permesso che tu la toccassi. (7) Ora restituisci la donna di quest'uomo: egli è un profeta: preghi egli per te e tu vivrai..(54)
La fatica di aderire alla promessa divina è enorme. Alla fine vince Dio:
"(1) Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. (2) Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato. (3) Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito. (4) Abramo circoncise suo figlio Isacco, quando questi ebbe otto giorni, come Dio gli aveva comandato. (5) Abramo aveva cento anni, quando gli nacque il figlio Isacco. (6) Allora Sara disse: "Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà sorriderà di me!". (7) Poi disse: "Chi avrebbe mai detto ad Abramo: Sara deve allattare figli! Eppure gli ho partorito un figlio nella sua vecchiaia!".(55)
Ora il disegno di Dio si è realizzato. Il racconto potrebbe finire qui. Ora Abramo sembra essere arrivato "verso se stesso" nella realizzazione di un "altro se stesso" nel figlio generato insieme a sua moglie. Ha realizzato insieme a lei il suo essere a immagine di Dio. Ma il racconto non finisce qui anzi proprio ora è pronto per arrivare al punto d'arrivo del "Lekh-lekha". Di fatto Dio volge ad Abramo la stessa espressione iniziale che lo ha messo in moto, che ha messo in moto tutta la sua vita: "Vattene … nel territorio di Moria":
"(1) Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: "Abramo, Abramo!". Rispose: "Eccomi!". (2) Riprese: "Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò". (3) Abramo si alzò di buon mattino, sellò l'asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l'olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. (4) Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. (5)Allora Abramo disse ai suoi servi: "Fermatevi qui con l'asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi". (6) Abramo prese la legna dell'olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt'e due insieme. (7) Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: "Padre mio!". Rispose: "Eccomi, figlio mio". Riprese: "Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto?". (8) Abramo rispose: "Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!". Proseguirono tutt'e due insieme; (9) così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l'altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull'altare, sopra la legna. (10) Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. (11) Ma l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: "Abramo, Abramo!". Rispose: "Eccomi!". (12) L'angelo disse: "Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio". (13) Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l'ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. (14) Abramo chiamò quel luogo: "Il Signore provvede", perciò oggi si dice: "Sul monte il Signore provvede". (15) Poi l'angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta (16) e disse: "Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, (17) io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. 18 Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce".(56)
Questa svolta sorprendente e sconcertante della vita di Abramo della coppia Abramo-Sara fa difficoltà a tante generazioni di credenti. Come mai Dio poteva chiedere una cosa simile ad Abramo. Guardando il testo originale più da vicino si può scoprirne il significato profondo.
"Tradizionalmente gli esegeti individuano due fonti scritte in questo racconto, a causa dei due nomi divini: Dio (Elohim) e il Signore (Jhwh). Ma perché si è conservato questa dualità? Possiamo osservare che il nome Dio occupa la prima parte del racconto (vv. 1.3.8.9.12) e il nome Jhwh la seconda (vv. 11.14-16). Ed è proprio al v. 11 che si trova la svolta del racconto. Nell'ipotesi di un racconto che narra "la prima volta", si potrebbe vedere lì il passaggio decisivo dalla "divinità" ( Elohim) al Signore, Jhwh, il Dio dell'Alleanza. E' coerente con l'esperienza di Dio fatta da Abramo che incarna il passaggio dalla religione alla fede. La fede nasce quando Dio diventa qualcuno, con cui il dialogo è possibile."(57)
Ritroviamo nel testo letteralmente incarnato il grande progresso interiore di Abramo e di rivelazione da parte di Dio. Il passaggio dalla venerazione della divinità, che nei paesi vicini in cui si trovava Abramo implicava anche sacrifici umani alla relazione viva con Dio che si rivela un Tu concreto.
"Con questo atto apparentemente assurdo, Abramo fonda una esperienza religiosa nuova: la fede. L'atto religioso di Abramo inaugura una nuova dimensione religiosa: Dio si rivela come personale, come esistenza totalmente distinta che ordina, gratifica, chiede senza alcuna giustificazione razionale (cioè generale e prevedibile) e al quale tutto è possibile. Questa nuova dimensione religiosa rende possibile la fede nel senso ebraico-cristiano."(58)
"E' interessante osservare che la tradizione ebraica, attraverso altre vie più intuitive, arriva agli stessi risultati. Certi rabbini giocano sulle lettere della parola ebraica "ariete" (ajil): la prima lettera è alef, come in Elohim, quella di centro è jod, come l'iniziale di Jhwh. Essi ne deducono che il cambiamento di nome indica il passaggio dal Dio del rigore (Elohim) al Dio della tenerezza (Jhwh), dal Dio giustiziere al Dio dell'alleanza e dell'amore."(59)
E' in questo totale affidarsi a Dio che si compie il viaggio di Abramo "via da sé verso se stesso". L'esperienza della rivelazione del Dio personalissimo porta Abramo alla vera profondità di se stesso. Solo chi si confessa che Dio è più vicino a se stesso della stessa vita coglie le vere dimensioni della vita umana. Abramo ci indica il "luogo" dove può avvenire questa esperienza: nelle relazioni familiari. La caratteristica tipica delle relazioni familiari è il loro grado di vicinanza, l'intensità dell'essere vicino. Il coniuge, il figlio nell'amore mi è più vicino di quanto io sia vicino a me stesso. Questa vicinanza però è solo realizzabile a favore delle persone amate e di me stesso se prima riconosco a Dio la sua vicinanza insuperabile a me stesso e alle persone amate della mia famiglia. Il rischio alto del coniuge, del genitore, del figlio è accontentarsi della vicinanza familiare dei congiunti e considerarla profondità esaustiva della mia esistenza diventandone dipendente. Ma i miei familiari mi sono immagine di quella vicinanza inaudita e personalissima di Dio. Se li metto al posto di Dio li tradisco e li violento interiormente e attribuisco a loro dei compiti che vanno oltre le loro capacità.
Riconoscendo a Dio questo priorità di vicinanza libero me stesso alla relazione reale con Dio e libero coniugi, genitori e figli dal dovere opprimente di dovermi sostituire Dio, di farmi cioè da realizzatori della mia vita. In pratica significa che penso prima a come piacere ai genitori, ai coniugi, ai figli rendendomi dipendente da loro e loro dipendente da me. In questo luce Abramo compie una triplice liberazione: lascia libero Dio di stare al primo posto, lascia libero se stesso da relazioni familiari assolutizzanti e libera suo figlio dal dovere dell'essere il prolungamento del Padre e gli manifesta la vera profondità dell'essere uomo e il significato della famiglia. La famiglia è prima di tutto un'opera di Dio e perciò un'esperienza di Dio. La storia di Abramo e di Sara rivela prima di tutto questo.
Il Sacrificio d'Abramo luogo d'incontri delle religioni monoteistiche
In questa azione genitoriale di Abramo trovano patria tutte le tre religioni monoteistiche:
"In un midraš (Midraš Rabba), i riferimenti al "terzo giorno" nella Bibbia (Os 6,1-2 e Gen 22,4) sono messi in rapporto con "il giorno della consolazione dei morti", cioè con la loro risurrezione. Nella liturgia ebraica, questo racconto del sacrificio è riproposto soprattutto a Capodanno (Roš Hašanah), il primo dei dieci giorni di preparazione alla grande festa di Kippur. Anche il suono rituale dello šofar, il corno di ariete, ricorda l'ariete sacrificato al posto di Isacco.
Citiamo infine due estratti del targum palestinese che sviluppa il testo attorno alla figura di Isacco, ai vv. 10 e 14: "Isacco prese la parola e disse ad Abramo suo padre: "Padre, legami bene perché non ti dia colpi di piede, in modo tale che la offerta sia resa invalida e che io sia precipitato nella fossa di perdizione del mondo futuro". Gli occhi di Abramo erano fissi su quelli di Isacco e gli occhi di Isacco erano volti verso gli angeli dell'alto. Abramo non li vedeva. A quel punto scese dai cieli una voce che diceva: "Venite, vedete due personaggi unici nel mio universo: l'uno sacrifica e l'altro sacrificato. Colui che sacrifica non esita e colui che è sacrificato tende la gola".(60)
I primi cristiani riconoscono il sacrificio d'Abramo la prefigurazione di quanto Dio avrebbe compiuto in Gesù:
"Il racconto di Gen 22, soprattutto grazie a questa tradizione ebraica di Isacco consenziente al suo sacrificio, ha ricevuto molto presto una interpretazione cristiana. Al di là dei numerosi riferimenti di Paolo alla fede di Abramo (Gal 3, e in particolare Rm 4,17), il testo è praticamente citato: "Lui (Dio) che non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo ha dato in sacrificio per noi tutti" (Rm 8,32). Nel vangelo di Giovanni, un testo rimanda probabilmente a Gn 22: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio" (Gv 3, 16), evocando l'amore condiviso del Padre e del Figlio unico. Nella Passione, due allusioni sono possibili: "essi legarono (Gesù)" (Gv 18,12) e "portando la croce da sé, Gesù uscì" (Gv 19, 17.24): il legno del sacrificio diventa qui la trave della croce."(61)
"Anche il Corano contiene questo racconto della fede esemplare di Abramo e del figlio; citiamone la fine: "Dopo che tutti e due si furono sottomessi (islam) e che Abramo ebbe adagiato il figlio con la fronte verso la terra, Noi lo chiamammo: "Oh Abramo! Tu hai creduto in questa visione e l'hai realizzata. E' così che noi ricompensiamo coloro che fanno il bene. Ecco la prova concludente". Noi abbiamo riscattato suo figlio con un sacrificio solenne" (Sura 37, vv. 99-112). Il figlio non viene nominato e la tradizione successiva vi vedrà Ismaele (l'antenato delle tribù arabe) e non Isacco. Questo sacrificio del montone viene rinnovato ogni anno in occasione della Grande Festa (Aid el kebir)."(62)
Possiamo contemplare nella storia di Abramo la potenza dell'agire divino nelle nostre famiglie attraverso le quali ci porta via da noi stessi verso il nostro vero se che solo nella vicinanza infinita di Dio trova la sua realizzazione. Nello stesso momento questa esperienza universale dell'essere e diventare immagine di Dio diventa la casa dalla quale e nella quale cristiani, ebrei e musulmani trovano la loro origine e la modalità della loro realizzazione.
Per la riflessione:
Come ho corrisposto alla chiamata universale di ogni essere umano d'uscire da se stesso verso il valore universale della propria persona?
In che modo la nostra vita famigliare è un'esperienza di Dio? Come faccio esperienza di Dio nella mia famiglia?
Quanto e sotto quale punto di vista percepisco vicini i nostri fratelli ebrei e musulmani?
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